Monsignor Nazareno Patrizi - Una dinastia di prelati a Bellegra

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di Davide Bracale

Mons. Nazareno Patrizi (1866-1959) fu l’ultimo esponente d’una lunga dinastia di ecclesiastici bellegrani, tutti provenienti dalla famiglia Patrizi. Il primo fu l’arciprete Piacentino, nel Settecento, al quale seguì l’abate Lorenzo Patrizi (1762-1842), archivista del Sant’Uffizio in epoca napoleonica. Il nipote Mons. Giuseppe Patrizi (1809-1846) fu vicario generale di Porto e Santa Rufina, dal 1842. Quindi, Mons. Pietro Patrizi (1832-1900) fu avvocato della curia romana ed officiale della Congregazione del Concilio, negli anni di Pio IX, e cameriere d’onore di Leone XIII. Infine, Mons. Nazareno Patrizi, che divenne presbitero il 27 maggio 1893 per la diocesi di Roma.
Tutti gli ecclesiastici di casa Patrizi furono titolari del beneficio di Santa Maria della Pace a Bellegra, ma il beneficio cessò quando vi furono l’unità d’Italia e la liquidazione dell’asse ecclesiastico. Mons. Nazareno Patrizi fu il primo chierico della famiglia non beneficiato e senza patrimonio. Con molta fatica e sotto la guida dello zio Mons. Pietro arrivò a percorrere tutti i gradini della carriera ecclesiastica. Dopo essere stato incardinato a Roma, si laureò in utroque iure e divenne canonico dei Ss. Celso e Giuliano, un’importante basilica romana che ha tutt’oggi il titolo di cappella papale. Nei primi anni di sacerdozio, oltre ad insegnare agli operai nelle scuole serali, ebbe una discreta carriera diplomatica come segretario di ablegazione a Madrid, Budapest e Vienna, con Mons. Pietro Vay e Mons. Giulio Zichy. Negli anni successivi divenne incaricato d’affari dei vescovi argentini e, soprattutto, del vescovo Mariano Antonio Espinosa.
Particolarmente dotato nella conoscenza giuridica, gli fu chiesto da Pio X di scrivere un testo sull’imprescrittibilità delle guarentigie, ossia le garanzie politiche ed economiche che l’Italia accordava alla Santa Sede. Dunque, scrisse nel 1905 La dotazione imprescrittibile e la legge delle guarentigie.
Nel 1909, il decano della Rota lo accolse come avvocato rotale e da quel momento Mons. Nazareno direzionò la sua attività nell’ambito rotale e delle cause dei santi, che già patrocinava da anni, mantenendo sempre l’impegno diocesano ai Ss. Celso e Giuliano.
Benedetto XV gli propose la nunziatura del Cile, nel 1914, ma Mons. Patrizi rifiutò e questo diniego rappresentò uno stop alla sua carriera ecclesiastica. Non ascese oltre la carica di cappellano segreto d’onore, già conferitagli da Pio X, fino al 1939. Cionostante, nel 1919, scrisse un poemetto A Benedetto XV, nel quale elogiava le sue doti durante gli anni duri della Grande Guerra.
Continuò con l’attività giuridica e pastorale, difendendo in Rota e postulando cause di canonizzazione fino al pontificato di Pio XII. A Mons. Nazareno Patrizi si deve l’approvazione dell’istituto delle suore della Sacra Famiglia, la cui fondatrice Madre Maria Mantovani verrà santificata da papa Francesco; inoltre, fu tra gli avvocati per la causa di Florida Cevoli, della quale si approvarono le virtù eroiche sotto Pio X, sebbene la beatificazione giunse solo con Giovanni Paolo II.
Mons. Nazareno era particolarmente vicino agli ambiti religiosi ed era stato un amico d’infanzia di Padre Giuseppe Spoletini, quando si incontravano l’estate a Bellegra.
Nel 1929 fu tra gli organizzatori dei festeggiamenti per il bicentenerio dalla morte di S. Tommaso da Cori ed invitò per la celebrazione il cardinal Capotosti, che frequentava da lunga data nel contesto della curia romana. L’oratorio privato di Mons. Nazareno Patrizi a Bellegra era la cappella di Santa Lucia, nella quale istituì la congregazione della Santissima Addolorata. I fedeli vi si riunivano soprattutto in estate, Mons. Patrizi animava la liturgia e le preghiere con Mons. Luigi Lannutti, un parroco romano che negli anni Cinquanta divenne ordinario palatino presso il Quirinale.
Nel 1933 Mons. Nazareno fu convocato dall’abate Simone Lorenzo Salvi, per essere giudice del sinodo diocesano sublacense, poiché Bellegra apparteneva alla diocesi abbaziale di Subiaco. Il sinodo serviva a ravvivare il decoro della diocesi e ad aggiornarla anche in base al nuovo codice di diritto canonico.
Mons. Nazareno negli anni Trenta viveva a Roma, in via Venezia 15, spesso accogliendo i suoi parenti bellegrani in visita oppure quelli che si erano definitivamente stabiliti nella capitale. La sua perpetua era Marianna Patrizi, una famigliare che lo accudì devotamente per tutta la vita.
Nel 1939, Pio XII elevò tutti i canonici dei Ss. Celso e Giuliano a camerieri segreti di sua santità, essendo stato egli battezzato in quella chiesa. Mons. Nazareno ebbe, oltretutto, la nomina a prelato domestico nel 1941. Pio XII volle premiarlo con questa prelatura, all’epoca di sommo onore, per il complesso delle sue attività in quasi cinquat’anni di sacerdozio.
Gli anni avvenire videro Mons. Nazareno nel suo ambito maggiormente pastorale. Prestava servizio nella parrocchia di S. Vitale, celebrava le messe ai Ss. Celso e Giuliano, in base ai turni che l’arciprete gli affidava e, nei momenti bui della guerra, si impegnò a salvare rifugiati e perseguitati.
Nel 1951 scrisse per le Paoline Il mese di giugno ad onore del Sacro Cuore, un testo di spiritualità perfettamente calato nella teologia del tempo, ma al contempo ancora capace di offrire spunti concreti per la vita del cristiano, talvolta malvagio, giudicante, scontento di tutto e poco incline a saper prendere esempio dal perdono e dall’amore di Cristo.
Mons. Nazareno Patrizi giungeva agli ultimi momenti della sua vita ormai privo di tutto. Un’esistenza votata a Dio ed anche contraddistinta da una carriera ecclesiastica riuscita e risolta non lo aveva reso schiavo del guadagno e dell’avarizia. Prima di morire già aveva donato ogni bene terreno e lasciava la famiglia benedicendo tutti, domandando preghiere e sperando che qualcuno tenesse presente la sua memoria. Il 4 febbraio 1959 morì. I funerali si tennero il 6 febbraio a Bellegra, ove fu tumulato assieme al fratello Francesco, allo zio Mons. Pietro ed alla fedele perpetua Marianna.
Dopo molti anni, la figura di Mons. Nazareno Patrizi è stata riscoperta per il suo lavoro giuridico, in difesa dei diritti della Santa Sede, che contribuì alla soluzione della “questione romana”, inveratasi coi patti lateranensi. Inoltre, egli rimane un elemento di studio storico, per tutta la sua attività, quale esempio di un ecclesiastico che, pur provenendo dalla provincia, si è distinto nell’ambito internazionale e della curia romana. Un discorso analogo vale per tutti i suoi antenati ecclesiastici, ma la differenza fu che i presbiteri che precedettero Mons. Nazareno avevano il titulus ordinationis ed un beneficio ecclesiastico, quindi erano sostenuti da una garanzia economica, mentre Mons. Nazareno ne fu sprovvisto, in un’epoca nella quale era molto complesso ricevere l’ordinazione a titolo del servizio alla diocesi e, quindi, senza essere provvisti di una dote.
 


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